Intolleranza al lattosio

16/07/2015

Il latte materno, come altri latti di mammiferi (vedi immagine tabella sottostante), oltre a proteine, grassi, vitamine, minerali e altri principi attivi, contiene carboidrati costituiti da lattosio e da importanti quantità di oligosaccaridi* .

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Lattasi o β-galattosidasi

Il lattosio è un disaccaride che viene sintetizzato nella ghiandola mammaria grazie al sistema della lattosio sintetasi, che lega una molecola di D-galattosio con una di D-glucosio con un legame β -1,4 glicosidico.

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L’enzima comunemente definito lattasi, è una β -galattosidasi che determina un’idrolisi del lattosio nelle due componenti, glucosio  e galattosio. Questi sono poi assorbiti a livello degli enterociti ed utilizzati, il glucosio come fonte di energia, ed il galattosio come componente di glicoproteine e glicolipidi.

La lattasi è presente sulla superficie apicale degli enterociti sui microvilli dell’intestino tenue con espressione massima a livello medio-digiunale.

Già all’ottava settimana di gestazione la lattasi è presente sulla superficie mucosa dell’intestino tenue. La sua attività cresce sino alla 34^ settimana e raggiunge il massimo di espressione alla nascita. Tuttavia dopo i primi mesi di vita l’attività della lattasi inizia a decrescere a volte sino alla scomparsa. Questo comportamento negli altri mammiferi è abituale. Nell’uomo invece circa il 30% della popolazione mantiene l’attività della lattasi per tutta l’età adulta. Questo avviene soprattutto nelle popolazioni del Nord Europa, e loro discendenti, e sembra in relazione all’introduzione giornaliera nella dieta del latte di origine animale. Studi del DNA su reperti archeologici suggeriscono che questa persistenza genetica della lattasi fosse rara, sempre nel Nord Europa, prima dell’introduzione del latte come alimento, creandosi nel tempo un processo di selezione verso quelle popolazioni che potevano contare sul latte nella dieta soprattutto in periodi di carestie. Per l’utilizzazione del lattosio è comunque sufficiente la presenza di circa il 50% dell’attività della lattasi.

La produzioni di lattasi è geneticamente determinata.

Il gene responsabile chiamato LCT è localizzato sul cromosoma 2.  Questo gene è attivato durante il periodo dell’allattamento, poi si verifica in base all’appartenenza etnica una repressione della sintesi della lattasi. Questa repressione è legata ad una mutazione genetica che agisce sulla regolazione del gene della lattasi e viene trasmessa in modo autosomico recessivo.

Il gene LCT codifica (fornisce le informazioni) per la produzione dell’enzima lattasi.  La mutazione non è propriamente localizzata nel medesimo gene della produzione, ma in un gene vicino  chiamato MCM6 (“minichromosome maintenance complex component 6”) all’interno del quale vi è una specifica sequenza di DNA in grado di controllare l’attività (quindi l’espressione) del gene LTC.  La mutazione consiste in uno scambio di due nucleotidi la Timidina (T) e la citosina C in posizione 13910.

Gli individui omozigoti per il genotipo C (LTC-CC) non hanno alcuna attività lattasica rilevabile, in confronto con individui con genotipo C-T eterozigote o con genotipo T-T omozigote, dove l’allele T determina la persistenza della attività lattasica.

Un polimorfismo G/G in posizione 22018 è ugualmente associato a livelli molto bassi di lattasi. E’ praticamente sempre associato al polimorfismo C/C.

L’insufficienza in lattasi ha una importanza variabile a seconda dell’individuo ma in generale in ciascuno resta una attività residua più o meno importante.

In pratica possiamo avere queste situazioni genetiche

Genotipo

Incidenza

interpretazione

-13910 TT

Circa 40%

Nessun segno di intolleranza primaria al lattosio

-13910 TC

Circa 45%

Nessun segno di intolleranza primaria al lattosio, ma è portatore

-13910 CC

Circa 15%

(in Europa)

Predisposizione genetica per intolleranza primaria

Pertanto l’intolleranza al lattosio esiste come:

•  intolleranza primaria congenita;

•  intolleranza primaria dell’adulto;

•  intolleranza secondaria.

L’intolleranza primaria congenita è una malattia ereditaria autosomica recessiva. Si manifesta con diarrea acquosa che il neonato sviluppa non appena viene nutrito con latte materno o cibi contenenti latte. Il deficit di elementi nutritivi determina quindi un ritardo nella crescita, con disidratazione e rapida insorgenza di alcalosi. L’intolleranza rimane per tutta la durata della vita e si risolve con l’abolizione del latte dalla dieta. Tale forma è molto rara, descritta principalmente in piccole popolazioni della Finlandia e della Russia.

L’intolleranza primaria dell’adulto  è caratterizzata dalla non-persistenza della lattasi durante il decorso della vita. È la forma più comune. È una condizione geneticamente determinata con un declino progressivo nella vita dell’attività enzimatica della lattasi, con una grande variabilità  a causa di una individuale attività enzimatica residua più o meno importante.

Si deve sottolineare che la prevalenza della carenza della lattasi geneticamente determinata dipende fortemente dalla appartenenza etnica. Questa prevalenza è nettamente più elevata nelle popolazioni del Sud  rispetto a quelle del Nord. 

L’incidenza è dal 2 al 10% nei paesi del Nord Europa, dal 15 al 20% nei paesi dell’Europa Centrale, e colpisce il 25% nei paesi mediterranei (con un massimo del 50% nella popolazione spagnola).  In una buona parte dell’Africa la prevalenza dell’intolleranza al lattosio è dal 65 al 75%, e in Asia dell’Est la popolazione intollerante al lattosio è vicino al 90%.

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L’intolleranza  secondaria o acquisita  è determinata da patologie che causano alterazioni della mucosa digiunale, con conseguente danno enzimatico:

- enteriti batteriche o virali (come ad es. da Rotavirus), parassitosi ad es. da giardiasi, criptosporidiosi, enterite attinica, malattie intestinali infiammatorie (morbo di Crohn, colite ulcerosa),  celiachia, ecc.

- trattamenti farmacologici (kanamicina, neomicina, polimicina, tetraciclina, colchicina e vari chemioterapici) che possono causare alterazioni dei villi intestinali sino ad atrofia, con conseguente perdita della lattasi;

- alcune condizioni post-chirurgiche, come la sindrome dell’ansa stagnante e la conseguente eccessiva proliferazione microbica  determinando alterazione dei villi intestinali;  o la sindrome dell’intestino corto conseguente ad ampie resezioni ileali. 

Questa condizione cessa se si risolve la situazione patologica a livello del piccolo intestino.

SINTOMATOLOGIA

La sintomatologia nel paziente adulto intollerante può mostrare sintomatologie diverse in relazione principalmente :

• al carico giornaliero: si stima che occorrono più di 240 ml di latte al giorno (= 12 grammi di lattosio) per causare sintomi in soggetti con carenza di lattasi ;

• alla associazione alimentare con cui viene ingerito. Da questa associazione dipende la velocità dello svuotamento gastrico: se il lattosio raggiunge rapidamente l’intestino tenue con bassa attività di lattasi, i sintomi saranno più evidenti. Ad es. se il lattosio viene ingerito assieme a carboidrati, in particolare assieme a carboidrati semplici, si ha un aumento della velocità di svuotamento gastrico e i sintomi saranno più evidenti e probanti; se viene ingerito con grassi che riducono la velocità di svuotamento gastrico i sintomi potranno essere ridotti o quasi assenti.

Il lattosio che non viene completamente idrolizzato si accumula nella porzione distale dell’intestino tenue, esercitando un effetto osmotico con richiamo di acqua e di sodio che porta a diarrea. Nel colon il lattosio viene fermentato dai batteri con produzione di metano, idrogeno, CO2 ed acidi grassi volatili determinando quindi flatulenza, distensione addominale e senso di gonfiore. A volte nausea e vomito. Le feci diventano acide per la presenza degli acidi grassi volatili.

I sintomi normalmente compaiono da 30 minuti a 2 ore dall’ingestione di cibo contenente lattosio.

In alcuni casi tuttavia può essere presente stipsi, secondaria alla riduzione della motilità intestinale in particolare come conseguenza dell’accumulo di metano.

Possono comparire, meno frequentemente, anche sintomi extra-intestinali come dolori articolari e muscolari, sonnolenza, vertigini, ulcere del cavo orale, acne, prurito, riniti, mal di gola.

Tutto ciò determina abitualmente una drastica riduzione del consumo di latte, con conseguenti riduzione nell’assunzione di adeguate quantità di calcio: in bambini, dalla cui dieta sono stati esclusi parzialmente o totalmente i prodotti a base di latte per 2 anni, si è visto un potenziale rischio di difettosa mineralizzazione dell’osso con osteopenia (riduzione della densità minerale ossea) ed osteoporosi.

Alcuni pazienti non associano i sintomi all’assunzione del lattosio, ma piuttosto alla presenza di patologie associate come colon irritabile e/o diverticolosi del colon.

Tale problematica non va confusa con l’allergia al latte (vedi eziologia, alimenti, latte vaccino, allergia al latte vaccino).

 

DIAGNOSTICA 

 

I sintomi dell’intolleranza possono essere confermati dall’impiego di test diagnostici.

I primi test sul malassorbimento del lattosio contemplavano un dosaggio della glicemia sierica dopo 30 minuti dall’assunzione di un carico di lattosio di 50 g: se il lattosio veniva scisso ed assorbito, la glicemia aumentava oltre i 20 mg/100 ml.

Più recentemente l’attività della lattasi è stata valutata su biopsie digiunali; il test è comunque considerato troppo invasivo e costoso per una patologia di non grave entità e può essere inficiato dalla distribuzione irregolare della lattasi nella mucosa del piccolo intestino.

Il breath test all’idrogeno dopo somministrazione per via orale di lattosio è oggi considerato il gold standard. È un test non invasivo, poco costoso, facilmente realizzabile. Si somministra per via orale lattosio (i dosaggi più utilizzati sono 20-25 g corrispondenti a 400-500 ml di latte) e si raccolgono campioni di aria espirata ogni 30 minuti per 3-4 ore. Il lattosio non assorbito raggiunge il colon, viene metabolizzato dalla flora batterica con produzione di idrogeno, che in parte è escreto attraverso le vie aeree.  Il test è positivo quando il livello di idrogeno nell’aria espirata supera di almeno 20 ppm i valori di base.

Sono possibili

- falsi negativi dovuti alla mancata produzione di idrogeno da parte della flora batterica colica, o dopo recenti assunzioni di antibiotici.

- falsi positivi, meno frequenti, legati alla presenza di una sovracrescita batterica del piccolo intestino.

Seguendo alcuni criteri di arruolamento (escludere terapie antibiotiche recenti o preparazioni drastiche recenti di pulizia intestinale, dieta adeguata il giorno precedente) e valutando anche i sintomi presenti durante l’esecuzione del test si aumenta la specificità e la sensibilità del test.

Ricerche genetiche con determinazione del genotipo sono possibili; possono essere utilizzate per differenziare il paziente con ipolattasia primaria o secondaria.Il test non è eseguibile routinariamente e può essere relativamente costoso.

Altri test raramente utilizzati sono:

il pH fecale, che rileva un viraggio acido (circa 5,5) per la presenza di acido lattico ed acidi grassi; il test è però scarsamente attendibile;

• la determinazione del potere riducente fecale, che rivela la presenza di zuccheri riducenti non assorbiti, lattosio o glucosio; il risultato può essere alterato da variazioni della motilità intestinale;

cromatografia su carta dello zucchero presente nelle feci: può essere utilizzato per identificare il tipo di zucchero malassorbito, ma nei bambini allattati al seno l’emissione di piccole quantità di lattosio con le feci è considerata normale.

Sui bambini piccoli e sui lattanti si preferisce eseguire la determinazione del pH e del potere riducente fecale, in quanto i test che comportano un carico orale di lattosio potrebbero provocare loro una diarrea osmotica anche pericolosa.

Le informazioni fornite da questi test devono essere sempre correlate con la storia nutrizionale del paziente (relazione dieta-sintomi) e con i risultati ottenuti con una dieta di esclusione, per poter fornire informazioni terapeuticamente utili.

I sintomi dell’intolleranza al lattosio, una volta individuati, possono venire controllati solo riportando la quantità di lattosio ingerito alla quota individualmente tollerata, determinata sperimentalmente.

TRATTAMENTO

 

Il trattamento cardine dell’intolleranza al lattosio consiste nel restringere la quota dietetica di lattosio, sino alla sua completa abolizione. È comunque utile confermare l’intolleranza al lattosio con una dieta di esclusione seguita da una successiva reintroduzione con ricomparsa dei sintomi.

L’assunzione di modeste quantità di latte (la maggior parte degli intolleranti riesce ad assumere 5-10 g di lattosio in singola dose) insieme ai cibi in grado di rallentare il transito intestinale migliora la tollerabilità, come già considerato.

I pazienti devono essere incoraggiati a reintrodurre il lattosio in quantità progressivamente tollerate in modo da non determinare carenze alimentari in particolare di calcio.

E’ comunque bene sapere

a) - Dove si trova il lattosio

•Latte, formaggi freschi, panna, formaggini da spalmare, gelati, frappé.

•Dolci preparati con burro e latte, creme a base di latte.

•Pane al latte.

•Cioccolato, anche fondente.

•Burro, Margarine.

•Prosciutto cotto, salumi in genere, wurstel.

b) – Dove può trovarsi perché può essere aggiunto a prodotti conservati, o già pronti, e preparazioni industriali solide o liquide, è pertanto importante leggere le etichette per accertarsi della presenza anche minima di lattosio in:

•Cibi precotti

•Salse, condimenti e piatti già pronti (ragù, purè)

•Prodotti per l’infanzia

•Biscotti, merendine, snack, ecc.

•Miscele per dolci

•Creme dolci e salate

•Bibite

•Liquori cremosi

c) – numerosi farmaci contengono lattosio in quantità che in genere non danno sintomatologia evidente

In entrambi i tipi di inolleranza, primaria e secondaria, è particolarmente utile l'uso di latte delattosato, ottenuto tramite idrolisi enzimatica, che scompone il lattosio in quantità equimolecolare nei due monosaccaridi che lo costituiscono cioè glucosio e galattosio come già considerato,  in  modo che tutti possano assumere tutti i nutrienti del latte e quindi poter risentire degli effetti fisiologici del lattosio stesso. Il glucosio, insulino-dipendente,  infatti è un’importante fonte di energia e di nutrizione per le cellule e favorisce l’assorbimento del calcio, e il galattosio, uno dei costituenti principali degli sfingolipidi, interviene nella sintesi degli acidi nucleinici e nella formazione dei cerebrosidi essenziali per il funzionamento del cervello e delle glicoproteine ematiche. Tale latte si ottiene sia attraverso un processo biotecnologico che utilizza β-galattosidasi (lattasi) immobilizzata su di un supporto solido, sia tramite l’aggiunta al latte di una piccola quantità di enzima esogeno purissimo.

Un altro alimento per intolleranti il lattosio è lo yogurt, in quanto lo Streptococcus termophilus in esso presente produce una β-galattosidasi (lattasi) attiva durante il suo transito nel tubo digerente. Ancora più adatto è lo yogurt ottenuto fermentando latte a ridotto contenuto di lattosio (< 0,5%). L’analisi del breath test ha infatti dimostrato che, in seguito all’assunzione di yogurt, non si “libera” nell’intestino lattosio fermentante, in quanto la quantità di idrogeno emesso rimane invariata.

I sintomi da intolleranza al lattosio risultano infine alleviati dall’assunzione di microorganismiprobiotici in grado di esercitare un’influenza positiva sullo fisiologia dell’ospite.

L’utilizzo di integratori contenente l’enzima lattasi.

Negli ultimi anni sono apparsi in farmacia prodotti contenenti l’enzima lattasi, derivato principalmente o dal Saccaromyces lactis o dall’Aspergillus oryzae. Nella preparazione l’enzima può essere da solo o accompagnato da microorganismi vivi di Lactobacillus acidophilus.  L’enzima, in base alla preparazione,  è capace di scindere quantità variabili di lattosio.